BERLINO - Cosa amiamo nell’amare una persona? A cosa ci leghiamo? Alla dimensione spirituale del suo esistere, alle parole scambiate, ai ricordi, a quello che pensiamo di sapere dell’altro? O piuttosto a una dimensione più materica, corporea, al mistero che attiene a ciò che i corpi riescono a trasmettersi anche mentre si parla d’altro?
All’esplorazione del rapporto corpo-coscienza (o corpo-anima) e al mistero di cosa sopravvive quando il corpo fisico perde di sostanza, è dedicato il nuovo film di Piero Messina, Another End, in concorso alla Berlinale. “Innanzitutto una storia d'amore prima che un film di fantascienza”, lo definisce il regista che nel mettere insieme fantascienza, assenza e amore richiama alla mente l’intenso Se mi lasci ti cancello di Michel Gondry. In Another End l’amore è colto nel momento della separazione, vive nel ricordo e cresce di nascosto, nel silenzio degli occhi che smettono di guardare al mondo fuori e scorrono internamente solo ricordi, diventando, visti all’esterno, opachi, velati, incapaci di vedere e, dunque, ciechi.
Ancora una volta, come nel suo film d’esordio L’Attesa (2015), il distacco diventa lo spunto narrativo per gettare luce sul passato, per indagarne le emozioni. “Paradossalmente nell'assenza del distacco il legame si fa più presente – sottolinea il regista– . Il distacco è un punto di partenza, un momento fertile per raccontare il sentimento”.
Il film è girato tra Roma e Parigi che danno corpo a una metropoli senza nome, un non-luogo asettico e futuristico dominato da luce fredda, con enormi grattacieli di vetro e passerelle sospese, a rappresentare un’alterità tecnologica dominante che incombe sul muoversi nel mondo dei protagonisti, che - per contrasto – continuano a spostarsi in vecchie carrozze della metropolitana, vivono in case dall’aspetto tradizionale, frequentano locali notturni coi muri esterni coperti di graffiti. In un futuro distopico in cui una nuova tecnologia, chiamata Another End, concede un tempo supplementare per salutare le persone che d’improvviso ci hanno lasciato. Un tempo in più per dirsi addio, per alleviare il dolore del distacco inaspettato, riportando in vita, per breve tempo, la coscienza di chi se n’è andato, ma in un’altra forma fisica, quella di un donatore che accetta di dare temporaneamente sostanza al corpus di ricordi di chi ha lasciato il corpo. In un film pieno di domande aperte e rimandi filosofici, in cui le coscienze indossano i corpi come si indossano i vestiti, e i corpi finiscono col trattenere col tempo una misteriosa presenza animica.
Così Sal (Gael García Bernal), un uomo pieno di dolore da quando ha perduto Zoe (Renate Reinsve), l'amore della sua vita morta in un incidente, può ritrovarla grazie alla tecnologia la nel corpo di un’altra donna. Un corpo sconosciuto in cui lui misteriosamente riconosce la moglie. Ciò che si era spezzato sembra improvvisamente ricomporsi, ma è una gioia fragile, effimera, insidiosa.
“Il cortocircuito messo in atto dalla tecnologia di Another End, che promette di separare i corpi dalle coscienze, mi ha fatto interrogare su ciò che ci lega alle persone che amiamo. Qualcosa che col tempo, silenziosamente si compie nei corpi ed ha a che fare con la loro presenza. Abdicare a questa dimensione dell'esistere, è la pericolosa illusione a cui si abbandonano i personaggi del mio film”, commenta il regista.
Nel cast di star oltre a Gael García Bernal e Renate Reinsve anche Bérénice Bejo e Olivia Williams.
(Carmen Diotaiuti)