Ludovica Rampoldi, sceneggiatrice David di Donatello per Il traditore (2019), si cimenta alla regia di un’opera prima che ricorda le storie d’amore e tradimento più classiche del cinema italiano, ma con un cambio di prospettiva quasi spiazzante. Breve storia d’amore, il suo film presentato alla 20ª Festa del Cinema di Roma nella sezione Grand Public, vede Pilar Fogliati, Adriano Giannini, Valeria Golino e Andrea Carpenzano invischiati in un quadrilatero amoroso dai risvolti interessanti, ambientato in una Roma che disperde e al tempo stesso accoglie piccoli segreti nelle sue pieghe nascoste.
Breve storia d’amore trova Lea (Pilar Fogliati), una giovane donna sposata con un attore di nome Andrea (Andrea Carpenzano), spersa in un bar qualunque di una Roma vissuta un po’ a caso attraverso Google Maps, dove incontra Rocco (Adriano Giannini), cinquantenne sismologo. I due si piacciono, ma è Lea a insistere nel cercarlo, lo aspetta ai piedi del suo ufficio a Prati. Una pensione di seconda categoria li accogile per il primo dei loro incontri clandestini. Appare un tradimento come tanti, ma tra l’inquietante il misterioso, Lea sembra avere un obiettivo nascosto che va al di là della relazione extraconiugale. La donna comincia ad infilarsi sempre più nella vita privata di Rocco, fino a richiedere una consulenza a sua moglie Cecilia (Valeria Golino), una psicologa esperta, alla quale, senza rivelare nulla di esplicito, racconta della sua situazione coniugale ed extraconiugale. Da quel momento Lea innesca una spirale che diventerà sempre più fatale per tutti e quattro.
“Avevo in mente un tono e un ritmo preciso – spiega la regista Ludovica Rampoldi - il languore dei pomeriggi in un albergo in disarmo, i dialoghi dopo il sesso, le bugie guardandosi negli occhi, le risate di chi ride insieme per la prima volta, l’inquietudine di chi vede la propria vita partire alla deriva”. Lei, lui, l’altro e l’altra: forse uno dei temi più esplorati nel cinema, eppure Breve storia d’amore è un romance ironico “capace di coinvolgere lo spettatore, depistandolo e interrogandolo come in un mistery o in un thriller psicologico”, sottolinea la regista.
Lo spettatore osserva i movimenti, le azioni, le parole e i pensieri dei personaggi come quelle formiche che Rocco e Cecilia ospitano in casa in una teca di plexiglass, che immancabilmente va in frantumi disperdendo ovunque i piccoli insetti disorientati. Allo stesso modo Lea, Rocco, Cecilia e Andrea si muovono in ambienti ordinari in modo del tutto disorientato: una piccola pensione, le loro case, l’ufficio, un bar come tanti e un Lungo Tevere dall’aspetto sempre mutevole, alla ricerca forse più di se stessi e del senso di un amore in cui è difficile prendere dimora.