TORINO - Nel panorama audiovisivo contemporaneo, il film d’arte sta vivendo una trasformazione profonda. A cambiare non sono soltanto i linguaggi, ma anche le logiche produttive, le forme di finanziamento, i canali di distribuzione e la stessa idea di pubblico. Da qui la necessità di interrogarsi su cosa significhi oggi “fare film d’arte” e quali nuove opportunità o criticità stiano emergendo nel sistema. Se ne è discusso nel workshop del Torino Film Industry “Film d’arte oggi: tra creatività, mercato e nuove piattaforme”, con esperti d'arte e rappresentanti istituzionali, e ne è scaturito un confronto che ha intrecciato estetica, politica culturale e nuove economie di fruizione.
La prima, grande evidenza emersa durante l’incontro riguarda l’evoluzione del linguaggio: nel film d’arte contemporaneo non esistono più confini rigidi tra cinema, danza, arti visive, teatro o installazione. L’ibridazione non è un concetto astratto, ma una pratica quotidiana che ridefinisce la grammatica dell’audiovisivo. L’autrice, distributrice ed esperta di film d’arte Cinzia Masotina ha portato l’esempio di Corpi Mutanti, documentario di prossima distribuzione firmato da Walter Bencini, dove la storia dei corpi attraverso il Novecento prende forma non solo tramite interviste e archivi, ma attraverso coreografie concepite per fissare momenti simbolici. L’uso della danza come struttura narrativa e l’impiego dell’intelligenza artificiale per rielaborare materiali storici mostrano come il film d’arte possa essere oggi un laboratorio di nuove forme espressive.
La riflessione trova eco nelle parole del professor Paolo Dalla Sega, Commissario del Fondo Nazionale dello Spettacolo dal Vivo, che distingue tra multidisciplinarità e interdisciplinarità: “Oggi le arti non si giustappongono; convivono, si attraversano, producono differenza”. Un concetto che ribalta la logica della classificazione tradizionale, ancora presente nei bandi e nelle commissioni ministeriali, dove i progetti “multidisciplinari” devono dichiarare una prevalenza. Nel mondo reale, invece, i linguaggi non hanno più gerarchie. Il professor Dalla Sega sottolinea la necessità di una revisione dei modelli di valutazione. Le tecnologie corrono, i linguaggi si ibridano, ma i sistemi normativi restano lenti. “Per fortuna - afferma - il mondo dell’arte è più veloce della regola”.
Uno dei punti cruciali del workshop riguarda il tema della distribuzione. La sala cinematografica, pur rimanendo un luogo centrale, non è più l’unico spazio possibile. Musei, teatri, fondazioni, piattaforme streaming, spazi immersivi e realtà aumentate stanno ridisegnando il percorso del film d’arte dal produttore al pubblico. Da qui emerge una constatazione: ogni opera richiede il suo pubblico e il suo luogo. Cinzia Masotina cita il caso di Goltzius and the Pelican Company di Peter Greenaway, distribuito direttamente nei teatri per garantire allo spettatore un’esperienza “totale” in linea con la complessità dell’opera. Un esempio virtuoso di come la scelta del luogo possa diventare parte del linguaggio del film. I musei, dal canto loro, stanno scoprendo nell’audiovisivo non solo uno strumento educativo, ma una vera risorsa per comunicare l’esperienza artistica e intercettare un pubblico che spesso non varcherebbe spontaneamente le loro soglie.
Accanto alla creatività, il workshop ha dedicato ampio spazio alle modalità produttive e alle logiche di mercato. Il film d’arte è un territorio per sua natura eccentrico rispetto alle regole del cinema commerciale. Trovare un equilibrio tra sperimentazione e sostenibilità economica è una sfida complessa. Secondo Masotina, la soluzione passa da nuove alleanze: compagnie di danza e teatro, accademie, enti museali, produttori audiovisivi. Le istituzioni artistiche possono diventare produttori associati, contribuendo non solo con competenze e spazi, ma anche con nuove reti di pubblico e nuovi canali di valorizzazione. Serve però un patto chiaro “da artista ad artista”: rispetto dei linguaggi, riconoscimento dei processi creativi, valorizzazione delle differenze.
Il workshop non ha mancato di affrontare le potenzialità - e i limiti - delle piattaforme digitali. Gli algoritmi, per loro natura, premiano ciò che somiglia al già visto. Il film d’arte, invece, vive di differenza, di deviazione, di imprevedibilità. Eppure, le piattaforme restano spazi fondamentali per raggiungere nuovi spettatori, soprattutto a livello internazionale. La sfida sta nel costruire strategie di comunicazione che facciano emergere il valore unico di questi contenuti all’interno di ecosistemi dominati dalla ripetizione.