La recente serie tv de Il Gattopardo ha nell’individuazione delle location uno dei suoi indubbi punti d’interesse. Tale analisi, peraltro, che può spaziare da Roma a Torino a tanta Sicilia, ha il vantaggio di permetterci di non affrontare l’altrimenti inevitabile confronto con la celebre versione cinematografica del 1963 diretta da Luchino Visconti.
I sei episodi, adattati dal romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa da Richard Warlow e diretti da Tom Shankland, con la collaborazione di Giuseppe Capotondi e Laura Luchetti (ep. 4 e 5), vedono nel centro di Palermo un protagonista indiscusso sin dall’inizio della prima puntata.
Proprio nelle prime immagini, una panoramica dall’alto mostra il lanternino ottagonale con colonnine tortili del campanile (1690 ca.) e la cupola in maiolica policroma (1724) della chiesa di San Giuseppe dei Teatini, per poi scendere in basso, sulla scenografica Fontana Pretoria, nella piazza omonima, chiusa sullo sfondo dalla chiesa di Santa Caterina d’Alessandria.
La fontana, in origine costituita da 48 statue, quattro vasche concentriche, scalinate che fanno da ponte e balaustre, ha una storia che vale la pena di essere raccontata, poiché fu scolpita e messa in opera nel 1554 dal fiorentino Francesco Camilliani, allievo di Baccio Bandinelli, per la villa dello spagnolo Luigi Toledo, ma a Firenze. Solo nel 1573 fu venduta dai Toledo alla città di Palermo e spedita in 644 pezzi riassemblati dal figlio di Camilliani, Camillo, e da Michelangelo Naccherino. La fontana assunse il nome attuale poiché posta nella piazza del Palazzo Municipale Pretorio e, non a caso, tra le statue rimaste a Firenze, oggi conservate al Museo del Bargello, ci sono le personificazioni dei fiumi toscani Arno e Mugnone. Per adattarla al nuovo contesto, invece, la statua di Bacco divenne il Genio di Palermo, sulle quattro vasche del primo livello vennero scolpiti i fiumi palermitani (Oreto, Papireto, Gabriele, Maredolce) e sulla cancellata ottocentesca di Giovan Battista Filippo Basile sono riprodotti i volti del Genio di Palermo, Santa Rosalia e l’Aquila pretoria.
In città, peraltro, il popolo la ribattezzò “Fontana della vergogna” sia per l’ingente somma sborsata per portarla a Palermo, sia per la quantità di statue nude in piena epoca di Controriforma.
Eppure proprio l’origine fiorentina valse all’opera e al suo autore la celebrazione di Giorgio Vasari, le cui Vite, pubblicate nel 1550 e nel 1568, non fecero in tempo a rendere conto del suo trasferimento, completato il 26 maggio 1574, a un mese dalla morte del celebre artista e letterato, sopraggiunta il 27 giugno. Vasari la definisce «[una fontana] stupendissima che ha fatto fare il signor don Luigi di Tolledo al suo giardino di Fiorenza; i quali ornamenti, intorno a ciò, sono diverse statue d'uomini e d'animali in diverse maniere […] tutta l'architettura et ornamenti di quel giardino sono opera di Francesco […] che non ha pari in Fiorenza, né forse in Italia: e la fonte principale, che si va tuttavia conducendo a fine, sarà la più ricca e sontuosa che si possa in alcun luogo vedere» (Vite, 1568, VI, 10-22).
A un passo dalla fontana, un altro luogo ben visibile nella serie è l’incrocio più famoso della città, tra la stessa via Vittorio Emanuele e via Maqueda. Si tratta dei Quattro canti di piazza Villena, anche noti come Ottagono del Sole o Teatro del Sole, capolavoro urbanistico del barocco siciliano, opera del fiorentino Giulio Lasso, poi concluso dal palermitano Mariano Smeriglio. Realizzato tra 1609 e 1620, il progetto è ispirato all’incrocio delle Quattro fontane, ideato a Roma nell’ambito delle sistemazioni urbanistiche volute da Sisto V Peretti (1585-90) in vista del Giubileo del 1600.
Gli apparati decorativi dei prospetti dei quattro edifici che danno sulla piazza sono articolati su quattro livelli divisi da marcapiani. Gli attici sono caratterizzati dai grandi stemmi reale senatorio e viceregio, mentre nei piani inferiori, paraste corinzie, colonne ioniche e doriche incorniciano rispettivamente le statue delle sante patrone della città prima dell’avvento di santa Rosalia del 1624 (Agata, Ninfa, Oliva, Cristina); degli imperatori d’Asburgo (Carlo V, Filippo II, Filippo III, Filippo IV), e, infine, dei fiumi della città antica (Oreto, Kemonia, Pannaria, Papireto), sotto i quali sono le vasche delle fontane.
Da qui, imboccando proprio via Maqueda, oltre le già citate Fontana Pretoria e la chiesa dei Teatini, si raggiunge piazza Bellini e un’altra location basilare della serie, nonché una delle grandi emergenze medievali della città: la chiesa di San Cataldo, risalente alla metà del XII secolo e immediatamente riconoscibile per le tre cupole rosse in asse, che ne fanno un raro esempio di architettura arabo-normanna. L’edificio è addossato all’altrettanto famosa Santa Maria dell’Ammiraglia, voluta nel 1143 da Giorgio di Antiochia, ammiraglio di re Ruggero II, dove nel 1194 venne fondato il convento di monache benedettine da Goffredo ed Eloisa Martorana, dai quali scaturì il nome più comune con cui la chiesa è ancora oggi nota: la Martorana.
Una curiosità: proprio al lavoro delle monache benedettine di questo convento si deve la produzione dei frutti in marzapane, iniziata nel XIII secolo, ancora oggi noti come frutta Martorana appunto.
La finzione scenica, però, riserva un cortocircuito ancora più curioso tra le location, poiché qui e nella dirimpettaia chiesa dei Teatini gli esterni della prima puntata ci fanno pensare sia il convento del Sacro Redentore, luogo letterario in cui Concetta (Benedetta Porcari) è all’inizio della storia e in cui tornerà dopo la delusione amorosa per l’unione tra Tancredi (Saul Nanni) e Angelica (Deva Cassel). In realtà, però, la chiesa all’interno è quella trasteverina di Santa Maria dell’Orto con la grande M mariana sulla finestra di fondo, mentre nella terza e nella quarta puntata, Concetta e altri personaggi si muovono in un chiostro con arcate a sesto acuto rette da colonnine binate a ridosso delle cupole rosse. Anche se queste sono sempre quelle di San Cataldo con la chiesa della Martorana visibile di fianco, il chiostro è quello di XII-XIII secolo di San Giovanni degli Eremiti, con la sua vegetazione lussureggiante e l’identitario pozzo di età normanna in corrispondenza di una precedente cisterna araba.
Nel romanzo, poi, viene citato un altro monastero di benedettine, fondato dalla Beata Corbera, antenata dei principi di Salina, che compare nella terza puntata della serie. Ciò che vediamo, però, è la badia di San Sebastiano ad Alatri, luogo storicamente connesso a una delle pause di san Benedetto da Norcia durante il suo viaggio da Subiaco a Montecassino (528). Nelle riprese lo vediamo dall’esterno, all’arrivo della carrozza con i principi di Salina e padre Pirrone (Paolo Calabresi), e poi nel bel chiostro romanico con la fontana, dove don Fabrizio parla con la madre superiora.
Della città, naturalmente, non può mancare la mole della Cattedrale dell'Assunta, di cui viene ripresa la parte che dà ancora una volta su via Vittorio Emanuele, fino ad addentrarci in via Matteo Bonello, dove dominano lo spazio i due arcoponti normanni di XII secolo, eppure già gotici, che collegano la facciata della chiesa al campanile (oggi neogotico, ricostruito da Emmanuele Palazzotto nel 1835-40, dopo i danni del terremoto del 1823), eretto su una delle torri delle antiche mura punico-romane.
Palermo, però, in diversi frangenti viene anche “interpretata” da altre città, come visto con la romana chiesa di Santa Maria dell’Orto. Lo stesso avviene per il ballo della liberazione, tra nobili palermitani e i conquistatori garibaldini, inscenato nel grande Salone dell’orchestra di Palazzo Biscari a Catania. Il grande ambiente è uno splendido esempio di Rococò di gusto napoletano, decorato da sovrapporte con vedute di Napoli, e soprattutto dall’affresco sul soffitto con il Consiglio degli dei che celebra la gloria di casa Biscari. Particolarità del soffitto è il suo sconfinamento in un ballatoio ovale con balaustra, un tempo riservato ai musicisti, che in effetti sono collocati lì a suonare per il ballo nella seconda puntata della serie.
Caso ancora più clamoroso è il matrimonio tra Angelica e Tancredi, che nella quarta puntata della serie si svolge idealmente a Palermo, ma che in realtà è girato a Roma, nella chiesa dei Santi Nomi di Gesù e Maria, riconoscibile dalla pala d’altare con l’Incoronazione della Vergine di Giacinto Brandi (1680) e per i grandi gruppi marmorei che la caratterizzano (ringrazio per la segnalazione la dottoressa Ludovica Annesi).
Ne Il Gattopardo, però, non solo Palermo e dintorni sono rappresentati anche dalle due residenze dei Corbera principi di Salina, Villa Salina e Donnafugata, ma la storia si sposta fino a Torino, nuova capitale del Regno d'Italia... e di location ce ne sono ancora molte da identificare e descrivere nelle prossime due parti di questo approfondimento.
Leggi le altre parti di questo approfondimento:
2. L'arte al servizio di Villa Salina e Donnafugata nella serie 'Il Gattopardo'