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TFI: l’arte delle sigle. Nicchiarelli, Garrone, le serie ‘Mare fuori’ e ‘La porta rossa’

21-11-2025 Carmen Diotaiuti Tempo di lettura: 9 minuti

TORINO - Dal cinema d’autore alle serie TV italiane. Nel panorama dell’audiovisivo contemporaneo, la sigla non è soltanto un ingresso estetico o un accompagnamento musicale: è una dichiarazione d’intenti, un gesto narrativo, un ponte emotivo tra lo spettatore e il mondo della storia. È un viaggio nel mondo della creazione di sigle e titoli il primo degli incontri sulle professioni del cinema e audiovisivo del Torino Film Industry, in cui Stefano Lentini, compositore di celebri sigle di serie TV come La Porta Rossa e Mare Fuori, e Francesca Di Giamberardino e Giovanna Rucci di Digimax, studio specializzato in creative titles che ha in filmografia titoli come Pinocchio, Io capitano,The Young Pope e Miss Marx, hanno raccontato un universo creativo spesso invisibile, dove grafica, musica, montaggio e regia si intrecciano per dare vita a open credits capaci di fissare il tono di un’opera, di catturare l’attenzione e, sempre più spesso, contribuire alla sua identità.

La sigla come linguaggio: territorio in continua evoluzione

Dalla televisione analogica alla rivoluzione digitale, i titoli di testa hanno attraversato trasformazioni radicali. Negli anni della pellicola, si lavorava con tecniche artigianali come la stop-motion; con l’avvento degli anni Duemila, il digitale ha permesso una ricchezza visiva nuova, accelerando processi, creando versioni multilingua e aprendo un dialogo diverso tra regista, grafici e compositori.

Oggi il workflow è quasi sempre in post-produzione, raccontano. Ogni regista integra gli opening in fasi diverse del processo creativo e le regole sono molto legate al regista con cui si lavora: c’è chi li pensa per primi, come firma del progetto, e chi li costruisce dopo aver completato la visione d’insieme. Ma l’obiettivo resta lo stesso, raccontare in una sequenza di pochi secondi ciò che l’opera vuole essere. È la soglia del racconto: un luogo in cui musica, immagine e design si incontrano per dire al pubblico “Questo è il mondo che stai per entrare”.

‘Miss Marx’: energia punk nei titoli del film 

Miss Marx (2020), Susanna Nicchiarelli

Tra i progetti Digimax citati durante l’incontro, Miss Marx di Susanna Nicchiarelli, regista legata alla città di Torino e da sempre attenta alla relazione fra musica e immagine. “La lavorazione dei titoli parte durante il lockdown: arriva una serie di immagini sospese, una donna ferma davanti alla fabbrica, tessuti che oscillano come manifesti di lotta”, ha raccontato Francesca Di Giamberardino, art director e co-fondatrice dello studio creativo. 

L’idea nasce da quei tessuti: vengono ricreati digitalmente e vestono lettere tridimensionali, come se la materia della storia – stoffa, cuciture, frange – diventasse tipografia. Ma la scelta più sorprendente arriva dalla musica: una traccia punk rock irrompe in un film d’epoca e le lettere iniziano a “ballare”. Il contrasto è voluto: un atto liberatorio, un cortocircuito emotivo che restituisce la forza visionaria della regista e trasforma la sigla in una dichiarazione politica.

Matteo Garrone: titoli come quadri in movimento

Pinocchio (2019), Matteo Garrone

L’approccio di Matteo Garrone è diametralmente opposto a quello della Nicchiarelli, ma altrettanto potente, come racconta Giovanna Rucci di Digimax, studio che ha firmato molti dei suoi ultimi film. “Per lui i titoli non sono solo un elemento grafico, ma un’estensione dello sguardo pittorico che attraversa ogni suo film”. Negli opening credits il lettering del titolo Pinocchio  viene interamente ricostruito in 3D: ogni immagine è studiata come materiale pittorico, le lettere diventano oggetti scolpiti, integrati in un universo visivo che riflette la cura dell’artigianato. La ricerca è partita dagli archivi delle tantissime fotografie scattate sul set, compresi i fotogrammi scartati che si rivelano materiale assai prezioso. Un lungo lavoro, riassunto in pochi fotogrammi, alla ricerca dell’immagine perfetta, capace di restituire un'apparenza valorizzante di ogni interprete del film di Garrone, "il quale tende a voler premiare nei titoli tutte le persone che hanno lavorato con lui".

Altrettanto immersivo il processo per Io Capitano. “Mappe navali, texture materiche, figure simboliche come lo sciamano, la donna che balla, il volto della bambina dai capelli rossi che il protagonista incontra nel viaggio: ogni elemento è studiato e ricostruito, ogni frame della sigla è pensato come un racconto nel racconto, coerente con il viaggio epico dei protagonisti”.  In entrambi i casi, la costruzione della sigla è complessa e minuziosa: selezione iconografica, studio della luce, valorizzazione dei volti degli attori. I titoli diventano quadri che introducono il film con una forza evocativa potente.

‘Mare fuori’e ‘La porta rossa’: sigla, rituale emotivo di visione

Mare fuori

Parte del rituale emotivo della visione di una serie diventa la sigla, che, quando è ben riuscita, non richiede allo spettatore di “saltare l’intro”. Il pubblico la canta, la attende, la associa immediatamente ai volti e alle storie dei protagonisti. Tra le serie italiane che più ne hanno ridefinito il ruolo Mare fuori, il cui opening, firmato da Stefano Lentini, è diventato parte integrante del fenomeno culturale della serie, tanto da avere generato sul web diversi remix e trend, contribuendo così in modo decisivo al successo trasversale della serie, specialmente tra i più giovani. Il brano d’apertura, cantato in napoletano – scelta inusuale al momento del lancio della prima stagione - fonde melodia emotiva e scrittura cantautorale. Non è solo un’introduzione musicale, ma una vera chiave di lettura del mondo della serie: le vocalità restano sospese tra malinconia e resistenza, anticipando quel dualismo costante fra durezza carceraria e tensione verso la libertà che caratterizza la trama. Così come le immagini della sigla - campi controsole, silhouette dei ragazzi, panoramiche del mare, geometrie dell’istituto penitenziario - evocano la condizione emotiva dei personaggi: sospensione, desiderio di uscita, identità in evoluzione.

Altro caso tra i più incisivi della serialità italiana, la sigla della serie noir La porta rossa, ideata da Carlo Lucarelli e ambientata a Trieste. Il progetto della sigla, racconta Lentini, nasce quasi per caso: un piccolo team di ragazzi pieni di voglia di fare, la possibilità di usare un brano in inglese - una scelta inusuale per un prodotto Rai – e una serie che, sin da subito, si posizionava come proposta più sperimentale rispetto al tono generalista delle produzioni precedenti. “Nel 2017 La Porta Rossa segnò per Rai 2 un’apertura decisiva verso una serialità più adulta, visivamente audace e musicalmente ibrida. Al tempo, credo fosse il 2016, Rai 2 stava iniziando a proporre i primi progetti seriali e stava quindi aprendo una strada nuova per posizionarsi in modo meno generalista rispetto a Rai 1”. Così si lancia nell’avventura di una serie con molti scenari notturni, foschi, scritta da Carlo Lucarelli; insomma, atmosfere che non erano propriamente quelle destinate al pubblico di Rai 1. “Per me questo ha rappresentato anche una possibilità nuova: esplorare un tipo di musica che prima non avevo potuto utilizzare in Rai. È stata un’occasione per unire, per esempio, il lavoro con un artista inglese che non aveva alcun legame diretto con una produzione italiana, girata a Trieste, con attori italiani”.

La costruzione della sigla è avvenuta in tempo reale: test, sincronizzazioni, invio via WhatsApp al regista per rapidi feedback. “Per me è stato un bellissimo lavoro. Certo, a rivederla oggi fa un po’ sorridere: eravamo agli inizi, grandi faccioni in primo piano e strumenti grafici molto essenziali. Per me, però, è stato un momento emozionante: si trattava di trovare le sincronizzazioni con le immagini, scegliere le fotografie, incastrare tutto per restituire perfettamente l’identità noir di un prodotto innovativo per la serialità italiana di quegli anni”.