Condividi

Cinema, arte moderna e cultura classica nell’Orfeo di Villoresi

20-11-2025 Gianni Pittiglio Tempo di lettura: 6 minuti

Nell’opera prima di Virgilio Villoresi, l’arte di inizio ‘900 e la cultura classica si fondono in un tutt’uno regalando atmosfere affascinanti e malinconiche che contribuiscono alla visione onirica del film, che alterna parti girate con gli attori a parti di animazione in stop-motion.
Innumerevoli, nei secoli, le riprese del mito di Orfeo ed Euridice, dalle Georgiche, in cui Virgilio lo cita come digressione nel suo discorso sulla bugonia – recentemente assurto a tema cinefilo in virtù dell’omonimo film di Yorgos Lanthimos –, all’opera teatrale di Angelo Poliziano nel Rinascimento (Favola di Orfeo, 1479-1480), fino al ciclo di sonetti di Rainer Maria Rilke (Die Sonette an Orpheus, 1922-1923) e a L’inconsolabile di Cesare Pavese, uno dei suoi Dialoghi con Leucò (1947) e, quindi, alla più celebre versione cinematografica, quella di Jean Cocteau con protagonistaù Jean Marais (Orphée, 1950).

Villoresi, però, si ispira soprattutto a una delle prime graphic novel pubblicate in Italia, Poema a fumetti (1969) di Dino Buzzati, di cui il film ripropone l’ambientazione milanese e novecentesca. E così, dopo un concerto al teatro Polypus di via Saterna, il solitario pianista Orfeo (Luca Vergoni) incontra la sfuggente e affascinante ballerina Eura (Giulia Maenza), e se ne innamora perdutamente.

Eura (Giulia Maenza) a uno dei tavolini del Polypus - © Sara Costantini

L’interno del teatro è caratterizzato in tutti i suoi elementi (lati del sipario, vetrate, pavimento, tavolini, sedie, candelabri) da motivi Art Nouveau che rimandano alle opere di maestri francesi come Hector Guimard, il celebre architetto delle fermate della metropolitana di Parigi (1899-1903). Siamo in Italia, però, e quindi quello stile andrebbe chiamato più correttamente Liberty, e pensando alle vetrate di quell’epoca, il capolavoro assoluto è sicuramente la serie di finestre per la cosiddetta Casina delle civette che artisti come Duilio Cambellotti, Paolo Paschetto, Umberto Botazzi e Vittorio Grassi, guidati dal maestro vetraio Cesare Picchiarini, disegnarono intorno al 1910 per il piccolo edificio di caccia all’interno di Villa Torlonia a Roma.
Allo stesso tempo, i giochi di luce che vediamo sia in queste scene, sia soprattutto nei paesaggi urbani in stop-motion, con le lunghe ombre, rimandano al cinema espressionista di Friedrich Wilhelm Murnau e Fritz Lang, e l’idea stessa dei modellini/diorama, realizzati a mano da Villoresi, fa pensare a capolavori come Il dottor Mabuse (1922) e Metropolis (1927) che ne fecero massiccio uso. Ancora una volta, però, alcune immagini rievocano l’arte italiana che, negli ampi spazi porticati percorsi dai protagonisti, parlano la lingua metafisica di Giorgio de Chirico e delle sue Piazze d’Italia (1934-1937).

Una delle piazze nei modellini del film – © Sara Costantini

La cultura classica, invece, resta a fare da sfondo alla storia originale, cosicché quando Eura sparisce entrando in una misteriosa casa milanese, a Orfeo non resta che rincorrerla in quella che si rivela essere una dimensione altra, accompagnato dall’Uomo in verde (Vinicio Marchioni) e accolto da una strana padrona di casa (Aomi Muyock).
È il momento della catabasi (in greco κατα- “giù” e βα?νω “andare”): la discesa agli inferi, che oltre Orfeo, nella letteratura antica riguarda anche Ulisse ed Enea, e in quella moderna Dante.
Se il mito di Orfeo, che il poeta Ibico di Reggio Calabria cita come già famoso nel VI a.C., porta la scena in Tracia - già per Erodoto terra di sciamani che facevano da tramite tra mondo dei vivi e dei morti -, Ulisse, nell’Odissea (XI, 152-207), composta nei secoli VIII-VI a.C., scende nell’Ade, ai confini dell’Oceano, consigliato dalla maga Circe per conoscere il suo destino futuro; mentre per l’ultima delle sue dodici fatiche, Ercole lo fa per sconfiggere Cerbero, il fedele cane a tre teste di Plutone, guardiano dell’Ade (PIsandro di Rodi, Eracleia, 600 a.C.).
Virgilio, invece, nel VI libro dell’Eneide (I a.C.) immagina il suo protagonista scendere nel regno di Dite, l’Ade dei greci, aiutato dalla Sibilla Cumana e con un ramo d’oro per essere traghettato da Caronte.
Diversi di questi elementi torneranno nella Commedia (XIV sec.), in cui Dante Alighieri non a caso proprio nella prima cantica, dedicata al suo viaggio nell’Inferno, sceglie come compagno di viaggio lo stesso poeta Virgilio.
E tra i tanti luoghi infernali, con lui si addentra anche nella selva dei suicidi (Inf. XIII), dove incontra le arpie, gli esseri metà donne e metà uccelli, dalle zampe artigliate, che a ben guardare vediamo, rivisitate, ma sempre tra gli alberi, anche nel film di Villoresi in cui prendono il nome di Melusine.

Le Melusine – © Sara Costantini

Dante, però, ha negli occhi e nella penna anche altre catabasi: su tutte, ovviamente, la discesa di Cristo al Limbo, narrata dai Vangeli apocrifi, in cui Gesù salva i giusti vissuti prima di lui a partire da Adamo, nonché le “visioni” medievali, tra cui quella narrata dal Venerabile Beda, dell’inglese Dritelmo (VIII secolo), quella del cavaliere irlandese Tnugdalo (XII secolo), e infine quella di Maometto che, nel Corano, compie un viaggio in cielo in cui vede pene infernali e bellezze paradisiache.

Più modernamente, nella storia del cinema, quella via mediana tra la vita e la morte, tra realtà e immaginazione, invece, è il terreno più congeniale di autori come il già citato Jean Cocteau, ovviamente, ma anche di cineasti del calibro di Federico Fellini, David Lynch e Tim Burton, che hanno sempre amato barcamenarsi tra i due mondi.

News correlate

Tutte le news