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'Vita mia', dalla Puglia alla Transilvania: il nuovo film di Edoardo Winspeare con Dominique Sanda

26-11-2025 Vania Amitrano Tempo di lettura: 4 minuti

"Sono il regista più provinciale d'Italia, giro sempre tutto in un raggio di venti chilometri da casa mia!", scherza Edoardo Winspeare (In grazia di Dio, 2014; Vita in comune, 2017) regista di Vita mia, film presentato al 43° Torino Film Festival. Una storia quasi autobiografica in cui il personaggio di una duchessa di origine ungherese, interpretato da Dominique Sanda (Miglior attrice al Festival di Cannes per L'eredità Ferramonti, 1976), si perde in un duro e tragito passato personale e storico. Il film nasce e si sviluppa dai racconti e nei luoghi di famiglia dello stesso regista, partendo proprio dalla Puglia, precisamente da Depressa in provincia di Lecce, per arrivare fino in Transilvania.

Vita mia

Nata in una delle più nobili famiglie d'Ungheria, Didi (Dominique Sanda) sposa un giovane duca pugliese con cui ha due figli. Divenuta ormai anziana e malata di Parkinson, in Didi cominciano a riemergere ricordi anche molto traumatici della sua infanzia. Quando era ancora piccola aveva infatti assistito all’invasione nazista e poi all'avvento del comunismo. Esule in Francia, per sopravvivere aveva lavorato come sartina alla Maison Dior, ma una volta sposato il nobile italiano, si era trasferita in Salento a Salete dove rimane fino alla fine dei suoi giorni. Ora Didi non è più capace di badare a se stessa da sola, ma resta orgogliosa e superba come lo era giovane e rifiuta qualsiasi aiuto, tranne quello di Vita (Celeste Casciano), una giovane pugliese di umili origini. Tra le due donne si instaura una inaspettata relazione fatta di una reciproca comprensione che per un poco sembra riuscire a far superare loro le differenze sociali e culturali che le separano. Ma durante un viaggio in Transilvania in occasione dell'inizio del processo di beatificazione del padre di Didi, la duchessa si trova ad attraversare un momento di così grande e profonda fragilità emotiva rispetto al riaffiorare dei ricordi passati da sentirsi spinta ad allontanare anche Vita. Fino a quando la presenza di quell'umile ma forte donna tornerà ad essere indispensabile alla sopravvivenza della duchessa. 

La Puglia di Vita mia

La Puglia, terra nativa di Winspeare, non ha mai smesso di essere fonte di profonda ispirazione in tutte le opere del regista che, proprio come alcuni personaggi di questo suo film, annovera origini aristocratiche. Figlio di un barone italiano e di una principessa del Liechtenstein, cresciuto nel palazzo nobiliare della sua famiglia nel Salento, con Vita mia Winspeare ha voluto conciliare quesi due mondi, all'apparenza opposti, che caratterizzano la propria vita personale: aristocrazia e popolo, cutura popolare del Meridione e discendenze nobiliari dell'Europa dell'Est. 

Senza allontanarsi dalla sua terra, se non per una breve parentesi tra Ungheria e Romania, Winspeare realizza una storia che parla anche della vita in un piccolo paesino della Puglia. Il nome della località è inventato, Salete in realtà sarebbe Depressa, il paese in cui è cresciuto e vive il regista e in cui si trova il palazzo della sua famiglia utilizzato nel film come dimora della duchessa protagonista.

"Sono cresciuto lì dove ho girato, è il paese dove sono nato - spiega il regista Edoardo Winspeare - L'ho chiamato Salete per un riferimento ad un mitico nome messapico (i Messapi erano una popolazione di origine illirica, che nell'antichità classica occupava il territorio corrispndente all'attuale Salento). I miei precedenti film hanno sempre raccontato di una Puglia più operaia e contadina, questa volta ci tenevo a raccontare un altro mondo che conosco, perché questo ambiente sociale viene spesso rappresentato con luoghi comuni, cliché alla Ferrero Rocher, invece mi interessava restituire la storia di una famiglia di tradizione aristocratica, decadente nel senso economico del termine, che ha perso tutto. La storia di questa amicizia è anche un pretesto per raccontare come i pregiudizi vengono a cadere con la conoscenza reciproca e che la cosa importante in fondo è l'umanità. Anche il fatto che Didi voglia tenere a tutti i costi il castello di famiglia e non voglia venderlo rappresenta un modo per restare attaccati alla tradizione".

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