Condividi

'Elisa', a Venezia 82 un film politico e umano nato tra le montagne dell’Alto Adige

05-09-2025 Vania Amitrano Tempo di lettura: 3 minuti

Un ex albergo abbandonato, immerso nei boschi dell’Alto Adige, diventa sullo schermo un centro di riabilitazione per detenute. È qui che prende forma Elisa, il nuovo film di Leonardo Di Costanzo in Concorso alla 82ª Mostra internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia e al cinema dal 5 settembre con 01 Distribution, con Barbara Ronchi protagonista accanto a Roschdy Zem, Valeria Golino e Diego Ribon.

In Elisa la struttura, l’Istituto Moncaldo, è un luogo particolare: non un carcere chiuso da sbarre, ma uno spazio ampio, a contatto con la natura, dove le donne condannate lavorano, convivono e scontano la pena con l’obiettivo di reinserirsi nella società.

Durante Ariaferma mi era venuta l’idea di filmare direttamente la colpa in faccia, di entrare nella cella per metaforizzare. Con Elisa invece mi interessava cercare un luogo che fosse altro dal carcere, un posto dove non ci fosse soltanto la reclusione, ma una possibilità di trasformazione”, ha raccontato Di Costanzo.

Elisa (Barbara Ronchi) è una donna condannata per l’omicidio di sua sorella. Mentre è detenuta nella struttura sceglie di intreprendere un percorso di riabilitazione con il criminologo Alaoui (Roschdy Zem), impegnato in una ricerca sui delitti familiari. Il suo approccio non è punitivo ma umano: non guarda all’assassina come a un “mostro”, ma come a una persona. “Guardare il male non come una perizia, ma considerare chi lo ha commesso come un essere umano, in modo da poter lavorare su una trasformazione possibile. Questo per me è profondamente politico”, ha spiegato il regista.

Il film si interroga sui temi del male e della colpa, ma soprattutto sulla responsabilità rispetto ai crimini commessi. “All’inizio sembra che Elisa intraprenda questo percorso per un bisogno narcisistico di parlare, come se non lo facesse da anni - ha raccontato Barbara Ronchi - Poi capisce che il senso di colpa è un sentimento passivo. Grazie al criminologo, impara a scendere più in profondità, a conoscersi e ad assumersi la responsabilità, con la paura vera di ciò che la aspetta fuori, non dentro il carcere”.

La scelta di ambientare la vicenda in Alto Adige non è casuale. Il paesaggio montano, con il suo equilibrio fragile tra armonia e isolamento, diventa parte integrante della narrazione. L’IDM Film & Music Commission Südtirol ha sostenuto la produzione, coinvolgendo circa trenta professionisti locali. Come ha ricordato il produttore Carlo Cresto-Dina: “L’Alto Adige è un luogo fertile per il cinema, capace di valorizzare le maestranze locali”.

Anche il regista ha sottolineato l’importanza del contesto: “Non volevo una cella, volevo un ambiente che mettesse i personaggi a contatto con la vita, con la natura, con una possibilità di cambiamento. Questo centro di riabilitazione diventa il simbolo di una domanda che riguarda tutti noi: come convivere con il male senza ridurlo solo a punizione e vendetta”.

News correlate

Tutte le news