Roma città aperta, il capolavoro neorealista di Roberto Rossellini con Anna Magnani, Aldo Fabrizi, Marcello Pagliero e il piccolo Vito Annichiarico è il primo film in Italia a essere stato realizzato con riprese prevalentemente in esterni.
Ambientato dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, durante l'occupazione nazista, ritrae una Roma piegata ma mai domata. È una capitale che cova la ribellione contro le avversità, fatta di gente comune, fiera e con una grande forza morale, come la popolana Pina, indimenticabile personaggio interpretato da Anna Magnani, l’emblema della donna che deve e vuole ribellarsi contro ogni forma di violenza e ingiustizia, o don Pietro (Aldo Fabrizi), punto di riferimento per chiunque gli chieda aiuto, pronto a sacrificare la vita pur di non tradire i suoi.
È una Roma che mostra le sue ferite, quella ritratta nel film, tra gli edifici sventrati dai bombardamenti e la gente che assalta i forni pur di accaparrarsi un tozzo di pane. Una città che accoglie nella sua magnificenza, mostrando di sé l'anima più periferica e popolana.
Le riprese iniziarono a guerra appena finita, con mezzi di fortuna, il 18 gennaio 1945, come ricorda una targa posta in corrispondenza di un palazzo di via degli Avignonesi 31.
Il centro di Roma è protagonista dei primissimi fotogrammi del film, che mostrano una camionetta di tedeschi che transita accanto alla cosiddetta “barcaccia” la fontana ai piedi della scalinata di Trinità dei Monti. Subito dopo due tedeschi in divisa bussano alla porta di una pensione alla ricerca di un uomo, l’ingegnere Manfredi, che nel frattempo è fuggito dalla terrazza che affaccia su piazza di Spagna.
Man mano che scorrono i fotogrammi facciamo la conoscenza dei personaggi: Pina vive in un casamento popolare a via Raimondo Montecuccoli al civico 17. Su questa strada del quartiere prenestino-labicano è stata girata una delle scene più realistiche e strazianti del cinema italiano: durante una retata dei tedeschi, la donna, urlando disperatamente il nome di Francesco, insegue la camionetta che sta portando via l’uomo che avrebbe dovuto sposare quel giorno e viene freddata a morte da una raffica di mitra. Nella scena successiva il figlio Marcello la abbraccia sul selciato mentre piange disperato. La figura di Pina è un omaggio a Teresa Gullace, che fu uccisa con un colpo di pistola da un soldato tedesco mentre tentava di parlare al marito prigioniero.
A poche centinaia di metri dall’abitazione di Pina, sul tratto tra la Casilina e il quartiere Pigneto, si svolgono altre scene del film, come la sequenza in cui la donna si confida con don Pietro.
In via Casilina 205 si trova anche la Chiesa di Sant’Elena, che ha prestato gli esterni per la parrocchia del prete interpretato da Aldo Fabrizi, simbolo di tutti i parroci “resistenti”. Il suo personaggio si ispirò probabilmente alle figure di don Pietro Pappagallo, che fu ucciso nel 1944 in occasione dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, e don Giuseppe Morosini, anch’egli fucilato nel ’44 al forte Bravetta. Sorretti da una fede incrollabile, entrambi perirono per il loro impegno nel fornire aiuto ai perseguitati del nazi-fascismo. Il tratto di via Tiburtina dove don Pietro incontra una staffetta partigiana per consegnargli del denaro si trova a pochi chilometri.
Bisogna tuttavia spostarsi a Trastevere per riconoscere gli interni della chiesa di don Pietro, che corrispondono a quelli della Chiesa di Santa Maria dell’Orto, gioiello barocco che si trova in via Anicia.
Nel quartiere Ostiense si svolge la scena dell’agguato dei Partigiani contro i tedeschi e liberazione dei prigionieri. Da un ponte di via delle Tre Fontane, dove sono appostati i Partigiani, è ben visibile l’inconfondibile sagoma del palazzo della Civiltà Italiana, anche conosciuto come il Colosseo Quadrato.
Il film termina con la triste scena dei ragazzini che tornano mestamente a casa dopo aver assistito alla fucilazione di don Pietro (per la scena fu scelta la Caserma Arnaldo Ulivelli, situata presso il forte Trionfale). Sullo sfondo la cupola di San Pietro, e ai loro piedi una Roma che lentamente, di lì a poco, avrebbe ritrovato la sua “primavera” dopo i lunghi anni di guerra.
L’occupazione della capitale da parte dei tedeschi sarebbe durata 9 lunghissimi mesi. Era inziata il 10 settembre 1943. Durante quel periodo, Roma venne dichiarata “città aperta” ovvero avrebbe rinunciato a qualunque tipo di difesa armata o azione di guerra. Questo tuttavia non ne fermò la Resistenza.
Roma città aperta, il capolavoro neorealista di Roberto Rossellini con Anna Magnani, Aldo Fabrizi, Marcello Pagliero e il piccolo Vito Annichiarico è il primo film in Italia a essere stato realizzato con riprese prevalentemente in esterni.
Ambientato dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, durante l'occupazione nazista, ritrae una Roma piegata ma mai domata. È una capitale che cova la ribellione contro le avversità, fatta di gente comune, fiera e con una grande forza morale, come la popolana Pina, indimenticabile personaggio interpretato da Anna Magnani, l’emblema della donna che deve e vuole ribellarsi contro ogni forma di violenza e ingiustizia, o don Pietro (Aldo Fabrizi), punto di riferimento per chiunque gli chieda aiuto, pronto a sacrificare la vita pur di non tradire i suoi.
È una Roma che mostra le sue ferite, quella ritratta nel film, tra gli edifici sventrati dai bombardamenti e la gente che assalta i forni pur di accaparrarsi un tozzo di pane. Una città che accoglie nella sua magnificenza, mostrando di sé l'anima più periferica e popolana.
Le riprese iniziarono a guerra appena finita, con mezzi di fortuna, il 18 gennaio 1945, come ricorda una targa posta in corrispondenza di un palazzo di via degli Avignonesi 31.
Il centro di Roma è protagonista dei primissimi fotogrammi del film, che mostrano una camionetta di tedeschi che transita accanto alla cosiddetta “barcaccia” la fontana ai piedi della scalinata di Trinità dei Monti. Subito dopo due tedeschi in divisa bussano alla porta di una pensione alla ricerca di un uomo, l’ingegnere Manfredi, che nel frattempo è fuggito dalla terrazza che affaccia su piazza di Spagna.
Man mano che scorrono i fotogrammi facciamo la conoscenza dei personaggi: Pina vive in un casamento popolare a via Raimondo Montecuccoli al civico 17. Su questa strada del quartiere prenestino-labicano è stata girata una delle scene più realistiche e strazianti del cinema italiano: durante una retata dei tedeschi, la donna, urlando disperatamente il nome di Francesco, insegue la camionetta che sta portando via l’uomo che avrebbe dovuto sposare quel giorno e viene freddata a morte da una raffica di mitra. Nella scena successiva il figlio Marcello la abbraccia sul selciato mentre piange disperato. La figura di Pina è un omaggio a Teresa Gullace, che fu uccisa con un colpo di pistola da un soldato tedesco mentre tentava di parlare al marito prigioniero.
A poche centinaia di metri dall’abitazione di Pina, sul tratto tra la Casilina e il quartiere Pigneto, si svolgono altre scene del film, come la sequenza in cui la donna si confida con don Pietro.
In via Casilina 205 si trova anche la Chiesa di Sant’Elena, che ha prestato gli esterni per la parrocchia del prete interpretato da Aldo Fabrizi, simbolo di tutti i parroci “resistenti”. Il suo personaggio si ispirò probabilmente alle figure di don Pietro Pappagallo, che fu ucciso nel 1944 in occasione dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, e don Giuseppe Morosini, anch’egli fucilato nel ’44 al forte Bravetta. Sorretti da una fede incrollabile, entrambi perirono per il loro impegno nel fornire aiuto ai perseguitati del nazi-fascismo. Il tratto di via Tiburtina dove don Pietro incontra una staffetta partigiana per consegnargli del denaro si trova a pochi chilometri.
Bisogna tuttavia spostarsi a Trastevere per riconoscere gli interni della chiesa di don Pietro, che corrispondono a quelli della Chiesa di Santa Maria dell’Orto, gioiello barocco che si trova in via Anicia.
Nel quartiere Ostiense si svolge la scena dell’agguato dei Partigiani contro i tedeschi e liberazione dei prigionieri. Da un ponte di via delle Tre Fontane, dove sono appostati i Partigiani, è ben visibile l’inconfondibile sagoma del palazzo della Civiltà Italiana, anche conosciuto come il Colosseo Quadrato.
Il film termina con la triste scena dei ragazzini che tornano mestamente a casa dopo aver assistito alla fucilazione di don Pietro (per la scena fu scelta la Caserma Arnaldo Ulivelli, situata presso il forte Trionfale). Sullo sfondo la cupola di San Pietro, e ai loro piedi una Roma che lentamente, di lì a poco, avrebbe ritrovato la sua “primavera” dopo i lunghi anni di guerra.
L’occupazione della capitale da parte dei tedeschi sarebbe durata 9 lunghissimi mesi. Era inziata il 10 settembre 1943. Durante quel periodo, Roma venne dichiarata “città aperta” ovvero avrebbe rinunciato a qualunque tipo di difesa armata o azione di guerra. Questo tuttavia non ne fermò la Resistenza.
Excelsa Film
Festival del cinema di Cannes 1945: Palma d'oro a Roberto Rossellini
Il film è ambientato a Roma durante l’occupazione tedesca seguita all'armistizio dell'8 settembre del '43 e racconta la Resistenza dei partigiani e la sofferenza della popolazione civile.